120 mila imprese del terziario a rischio chiusura. La situazione dei costi energetici sta precipitando di giorno in giorno senza che forse sia scattata la necessaria attenzione e urgenza di intervento per salvare il mondo economico italiano e quindi anche la tenuta sociale del Paese. Secondo la stima di Confcommercio da qui al primo semestre 2023 sono a rischio anche 370 mila posti di lavoro. Questo l’allarme lanciato dal vicepresidente Enrico Stoppani, nel corso di una conferenza stampa. «In queste condizioni è impossibile tenere in vita aziende e occupati. Il rischio di perdite di esercizio è quanto mai vero, si accresce il rischio di chiusura delle aziende».
Imprese, corsa inarrestabile dei prezzi
La corsa inarrestabile dei prezzi delle materie prime energetiche e un’inflazione che viaggia intorno all’8%, in gran parte determinata proprio dalle tensioni collegate alla guerra in Ucraina, si sta abbattendo sui bilanci delle imprese del terziario e della distribuzione tradizionale e moderna con un aumento delle bollette che, di giorno in giorno, diventa sempre più insostenibile. Una situazione di vera e propria emergenza che sta comprimendo i già bassi margini operativi di molte aziende del settore e che rischia di portare al rallentamento, se non addirittura alla chiusura, di tante attività.
Tra i settori più esposti ai rincari energetici, il commercio al dettaglio, in particolare la distribuzione tradizionale e moderna del settore alimentare, la ristorazione, la filiera turistica, i trasporti che, a seconda dei casi, registrano rincari delle bollette fino a tre volte nell’ultimo anno e fino a cinque volte rispetto al 2019, prima della pandemia. Complessivamente, la spesa in energia per i comparti del terziario nel 2022 ammonterà a 33 miliardi di euro, il triplo rispetto al 2021 (11 mld) e più del doppio rispetto al 2019 (14,9 mld).
Distribuzione moderna, costi insostenibili per le imprese
La distribuzione moderna, pur non rientrando nella classificazione dei settori “energivori”, ha consumi per oltre 12,2 TWh, su cui impattano principalmente la gestione della catena del freddo e dei banchi refrigerati. Le aziende della distribuzione stanno registrando incrementi del costo delle bollette mai registrati prima: siamo su una media tra il +200%/+300% con punte anche più alte in certi casi. Oggi l’incidenza del costo dell’energia sul conto economico delle imprese del settore sta subendo un incremento significativo, passando dall’1-1,5% del 2021 al 3-4%, con punte fino al 6%. Con utili medi che il settore registra tra 0,5/1,5% è evidente che molte imprese sono fortemente a rischio di tenuta dei conti economici.
Alcuni consumi di energia sono incomprimibili: si pensi ai banchi refrigerati, il cui assortimento, fatto di prodotti deperibili, è vitale per molte filiere produttive di eccellenza del Made in Italy ed è un servizio fondamentale per i consumatori, che possono accedere a un assortimento di prodotti di qualità. I prodotti deperibili, rappresentano oltre il 45% delle vendite medie di un supermercato, e in gran parte rappresentano eccellenze produttive nazionali, prevalentemente del territorio.
Imprese, le richieste di Confcommercio
Per contrastare questi effetti ed evitare il rischio chiusura delle imprese, Confcommercio, ANCC-Coop, ANCD-Conad e Federdistribuzione hanno condiviso una serie di proposte al Governo e al Parlamento da attuare con urgenza:
incremento del credito d’imposta per il caro energia elettrica dal 15% al 50% nel caso di aumenti del costo dell’energia superiori al 100%, misura che andrà estesa anche all’ultimo trimestre dell’anno;
ampliamento dell’orizzonte temporale per la rateizzazione delle bollette almeno fino a dicembre 2022;
incremento fino al 90% della copertura offerta dal Fondo di garanzia per le PMI anche per i finanziamenti richiesti dalle imprese per far fronte alle esigenze di liquidità determinate dall’aumento del prezzo dell’energia elettrica.
Va, inoltre, perseguita una maggiore inclusività della misura del credito di imposta rendendola accessibile anche ai soggetti esercenti attività di impresa, arti o professioni con potenza installata inferiore a 16,5 KW.
Istat, inflazione record dal 1985

A gettare benzina sul fuoco gli ultimi dati dell’Istat con la corsa dell’inflazione che non sembra arrestarsi. Ad agosto accelera ancora, salendo all’8,4% su base annua, dal 7,9% registrato il mese precedente. Non era mai stata così alta dal dicembre 1985, quando fu pari al +8,8%. Secondo le stime preliminari dell’Istat, l’indice dei prezzi al consumo registra un aumento dello 0,8% su base mensile.
A spingere sono soprattutto i prezzi energetici: «energia elettrica e il gas mercato libero producono l’accelerazione dei beni energetici non regolamentati, in parte mitigata dal rallentamento di quelli dei carburanti, insieme con gli alimentari lavorati e i beni durevoli. Vola il cosiddetto “carrello della spesa” che segna un aumento del 9,7% che non si osservava da giugno 1984: i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona passano dal +9,1% al +9,7%, mentre rallentano quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto, dal +8,7% al +7,8%».
1300 euro in meno a famiglia
Anche l’altra associazione del commercio, Confesercenti, si sta chiaramente occupando del tema con un’altra stima molto preoccupante. «Senza un’inversione di tendenza, l’aumento di prezzi e utenze porterà nei prossimi due anni a una minore spesa di 34 miliardi, oltre 1.300 euro in meno a famiglia. I responsabili principali dei nuovi rialzi, ancora una volta, sono i beni energetici che crescono di 2 punti percentuali, raggiungendo il 44,9% in più rispetto allo scorso anno, ma anche i prezzi di tutti gli altri beni mostrano, in modo diffuso, segni di aumento seppure in diversa misura. Restano quasi stabili, invece, i prezzi dei servizi».