Nonostante il complicatissimo quadro globale, l’export italiano di beni crescerà nel 2022 del 10,3%, continuando a registrare un andamento positivo anche nel 2023 (+5%), quando si raggiungeranno quasi 600 miliardi di euro, che consentiranno all’Italia di mantenere pressoché invariata la sua quota di mercato a livello mondiale. Questa l’interessante conclusione del rapporto Export 2022 di Sace, la società assicurativo-finanziaria italiana specializzata nel sostegno alle imprese e al tessuto economico nazionale.
Certo non mancano le difficoltà come l’Incertezza geopolitica, il caro prezzi e l’interruzione delle catene di fornitura tutti fattori che renderanno più costoso l’export italiano, da sempre il traino della nostra economia. Tra i settori più promettenti i metalli, la chimica e meccanica industriale, anche grazie ai piani pubblici di investimento e di transizione energetica che stanno attuando diversi mercati tra i quali Stati Uniti, Spagna, Emirati Arabi Uniti e India
Export, dati Sace: Italia avrà doppia anima

Quest’anno, dunque , le esportazioni italiane di beni in valore cresceranno del 10,3%: un aumento a doppia cifra spinto in larga parte dal fattore prezzo, più che dal volume, che esprimerà invece solo un +2,6%. Nel 2023 le tensioni sui costi dovrebbero ridursi e i trend legati a valori e volumi dell’export convergeranno con una crescita rispettivamente del 5% e del 4%, mentre il nostro export raggiungerà i 600 miliardi di euro, consentendo all’Italia, ottavo Paese esportatore nel mondo, di mantenere pressoché invariata la sua quota di mercato a livello globale, pari al 2,7%.
Se nel 2022 è il “caro export” a spingere il valore del Made in Italy, nel 2023, in un contesto ancora incerto, sarà la resilienza delle aziende a dare impulso alle vendite oltreconfine.
Previsioni export Italia nei vari settori

Da un lato questo risultato beneficia di condizioni di domanda ancora relativamente favorevoli a livello globale e, nel caso specifico dei Paesi Ue, delle risorse messe a disposizione dal programma Next Generation EU. Sul fronte delle esportazioni italiane di servizi, il 2022 rappresenta, finalmente, l’anno del recupero (+19,9%), con un ritorno pressoché ai livelli pre-Covid dopo il rimbalzo incompleto dello scorso anno, grazie soprattutto al comparto del turismo che rappresenta il 9,1% del nostro Pil. Il buon andamento proseguirà anche nel 2023 a un ritmo del 9,8%, che permetterà di superare i livelli del 2019.
Anche per i diversi settori di export assisteremo quest’anno ad ampie crescite in valore, mentre gli aumenti in volume rimarranno generalmente più contenuti. Questo è particolarmente evidente per i beni intermedi, specie i metalli e la chimica, le cui esportazioni proseguono con una crescita a doppia cifra, grazie sia alla componente dei prezzi sia alla dinamica ancora relativamente sostenuta degli investimenti.
I piani economici di rilancio, in chiave infrastrutturale e green, saranno, infatti, alla base della crescita anche dei beni d’investimento, trainati in particolare dai mezzi di trasporto e dalla meccanica strumentale, che tuttavia quest’anno risentiranno delle attuali incertezze.
Il ritorno dell’inflazione globale si riflette, inoltre, in un calo del potere d’acquisto delle imprese e delle famiglie più in difficoltà, che potranno ridurre le risorse destinate agli acquisti di beni di consumo, specie se differibili nel tempo, come ad esempio la gioielleria e i prodotti in pelle. Nonostante il rincaro dei processi produttivi lungo tutta la filiera, nel 2022-2023 proseguirà la buona performance dell’agroalimentare, che già dall’anno scorso sta beneficiando anche della ripartenza del turismo.
La situazione nel resto del mondo
I Paesi dell’Est Europa, al centro del ciclone, sono fisiologicamente le economie che soffrono maggiormente e sono destinate a subire più a lungo gli effetti del conflitto in corso. L’Europa sta scontando le criticità dell’approvvigionamento di input, in particolare quelli energetici, e le difficoltà lungo le catene globali, ma la struttura economica dei Paesi permette loro di mitigare, almeno temporaneamente e in alcuni casi parzialmente, tali effetti.
Tra le aree che stanno beneficiando dei rincari dei prezzi dell’energia e delle nuove fonti di fornitura cercate dall’Europa c’è il Medio Oriente e Nord Africa, seppure, soprattutto in quest’area, con differenze significative tra Paesi esportatori e non. L’Asia-Pacifico è influenzata dalle politiche “zero Covid” attuate specialmente in Cina, oltre che da una differenziazione di geografie a seconda del grado di dipendenza dall’import di materie prime energetiche e alimentari dalle zone del conflitto.
Il persistere delle conseguenze della pandemia su economie a minore copertura vaccinale, già finanziariamente fragili, largamente informali e poco diversificate, e l’impatto del conflitto sulla sicurezza alimentare mantengono deboli le prospettive di crescita della domanda dell’Africa Subsahariana. In questo contesto, vi sono alcuni mercati dove, per una molteplicità di specifici fattori, il nostro export mostrerà una dinamica particolarmente vivace.
Ad esempio, tra le economie emergenti numerose opportunità per le nostre imprese deriveranno dai piani di investimenti pubblici degli Emirati Arabi Uniti, dell’Arabia Saudita o dell’India, e dal crescente inserimento nelle catene di approvvigionamento di player nazionali in Messicoo Colombia. Se in Asia le potenzialità di mercato della Cina si mantengono elevate, nonostante un contesto attualmente meno favorevole da diversi punti di vista, le esportazioni italiane potranno beneficiare dell’impronta industriale decisamente trasformatrice del Vietnam, dalla più nota industria tessile e della lavorazione delle pelli fino all’agroalimentare.
Senza dimenticare quelle geografie già ampiamente presidiate verso cui è destinato buona parte del nostro export: Stati Uniti su tutti, ma anche, per citare il Vecchio continente, la Spagna dove le imprese italiane potranno soddisfare in diversi ambiti la domanda legata alla transizione energetica.
Export, gli scenari alternativi
In un contesto segnato da un’elevata incertezza economica globale, legato in particolare all’evoluzione della guerra in Ucraina, Sace ha ritenuto opportuno simulare anche scenari di previsione alternativi. In un primo scenario elaborato sulle ipotesi di continuazione e intensificazione nel tempo del conflitto, la cui probabilità di accadimento sta gradualmente aumentando, la crescita economica globale risulterebbe più debole e sarebbe accompagnata da un’ulteriore impennata dell’inflazione.
In questo contesto, le nostre esportazioni crescerebbero quest’anno a un tasso del 9,1% (-1,2 punti percentuali rispetto allo scenario base) e registrerebbero un incremento solo di poco superiore allo zero nel 2023 (+0,5%; -4,5 p.p. rispetto al baseline).
In un secondo scenario alternativo, con una probabilità di accadimento più modesta, si prevedono gli effetti di una risoluzione del conflitto in tempi più brevi e condivisa da entrambe le parti, che vada oltre un cessate il fuoco o il mero “congelamento” delle ostilità militari. L’allentamento delle distorsioni sul mercato energetico e il conseguente calo delle pressioni inflazionistiche aprirebbero a una “ripresa post-conflitto” nel corso del prossimo anno, con benefici per imprese e famiglie: l’export italiano di beni crescerebbe dell’11% nell’anno in corso (+0,7 p.p. rispetto al baseline) e dell’8,3% nel 2023 (+3,4 p.p.) per poi tornare in linea con lo scenario base nel biennio successivo.