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Il caso bitcoin, quando le innovazioni che cambiano la storia vengono derise

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Il valore di bitcoin è messo ciclicamente in dubbio anche da voci autorevoli. Non è la prima volta che innovazioni capaci di cambiare il mondo siano state sottovalutate o derise. All’indomani della prima Finanziaria che cerca di fare chiarezza sulla fiscalità di bitcoin (che equivale a un riconoscimento istituzionale del mondo cripto in Italia), la Repubblica inaugura una serie di articoli sul “grande bluff delle criptovalute” con le firme autorevoli degli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti e successivamente un’amaca di Michele Serra. Come stanno davvero le cose? Questa l’interessantissima analisi di Federica Rocco, Founder & CEO di Cryptovalues

Bitcoin, quelle premesse sbagliate

Le premesse sono quelle classiche: ovvero che la Cina ha bandito estrazione e trading – ma la Cina non è propriamente un paese dell’Occidente democratico e fa specie che si prenda a modello; che “molti legislatori americani ritengono che sia opportuno intervenire” (ma molti altri no e in ogni caso la regolamentazione è da salutare con favore);

“La Ue renderà impossibile per le banche detenere criptovalute”: o forse è vero il contrario, se un documento della Bis suggerisce che l’esposizione non debba superare il 2%, ma che sarebbe preferibile si collocasse al di sotto dell’1% purché criptoasset e altre attività tokenizzate siano “soggetti a requisiti patrimoniali basati sulle ponderazioni di rischio delle esposizioni sottostanti, come stabilito dall’attuale schema di Basilea”. Per ognuna delle argomentazioni successive possiamo portare una contro-argomentazione ragionevole e lo faremo più avanti, prima però vogliamo fare una riflessione generale.

Bitcoin, quando grandi invenzioni vennero sottovalutate

E ci facciamo aiutare dalla ricca aneddotica disponibile. Nel 1879, l’inventore e scienziato Henry Morton, presidente dell’Institute Stevens of Technology, definì la lampadina di Thomas Edison, un “chiaro fallimento”. Non c’era da biasimarlo, anche perché Morton non criticava la lampadina in sé ma osservava che non c’era modo di trasportare l’energia elettrica e di farla arrivare in ogni casa.

Nel 1902, il “New York Times” definì l’automobile impraticabile. Il “Times” azzardò anche che il prezzo delle auto “non sarebbe diventato mai sufficientemente basso da renderle davvero popolari”. Nel 1903 pare poi che il presidente della Michigan Savings Bank disse all’avvocato di Henry Ford, Horace Rackham: “Il cavallo è qui per restare, l’auto è una moda passeggera”, per dissuaderlo dal fare l’investimento nella prima fabbrica che avrebbe reso l’auto democratica.

Più vicino a noi, nel 1985, il “New York Times” annunciava la drammatica fine della moda dei personal computer: che erano pesanti, costosi e la cui batteria durava troppo poco. E poi perché uno avrebbe dovuto portarli in viaggio e usarli anziché interagire con la realtà?

E se valesse anche per la blockchain?

Commenti simili sono toccati a molte altre invenzioni che hanno cambiato per sempre la storia dell’uomo, ma che all’inizio sono state sottovalutate o non comprese del tutto, dalla radio senza fili, al telefono, agli aerei, fino al cinema muto e poi a quello sonoro. Non è qualcosa di cui stupirsi: per vedere il futuro bisogna pensare out of the box e immaginare evoluzioni che al momento sembrano impossibili. È più semplice liquidare la questione sminuendola, affermando che si tratti di mode passeggere e destinate a soccombere rispetto allo status quo. 

Accade anche oggi con la blockchain, il cui valore tecnologico è evidente alla comunità di bitcoin, ma ancora in gran parte sottovalutato o considerato inutile, o, peggio una truffa, da chi rifiuta di vedere che l’ordine costituito può essere cambiato e persino migliorato.

Ora, noi non sappiamo se il futuro monetario sarà dominato da bitcoin e se la blockchain avrà un ruolo nell’inevitabile evoluzione della finanza e dell’economia (il fatto che però su blockchain dovrebbero girare le cbdc – Central Bank Digital Currency – prima fra tutte quella che sta studiando la Bce, ci offre più di un indizio. E nello stesso articolo che stiamo commentando le cbdc sono definite “un’innovazione potenzialmente positiva”). Ma sappiamo quello che è già successo: che se avessimo ascoltato gli apocalittici di ogni epoca andremo ancora a cavallo e ci illumineremo alla fiamma di lampada a olio.

Bitcoin, da cosa dipende il suo valore?

La tecnologia sottostante a bitcoin è il suo valore. La blockchain si presta a molti usi, essendo un registro di dati immutabile e incorruttibile. Gli usi a cui si presta sono diversi: sottoscrivere contratti di compravendita inviolabili, tracciare in maniera sicura la filiera alimentare, blindare gli atti notarili, creare mercati secondari dei private market, votare in maniera sicura. Alcuni di questi usi sono solo ipotetici, altri in corso di sperimentazione, una sperimentazione che sarà lunga e costellata di fallimenti. Ma che la tecnologia sia in potenza rivoluzionaria è un punto fermo da tenere come stella polare di tutto il ragionamento. Poi veniamo alle risposte puntuali.

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Federica Rocco, Founder & CEO di Cryptovalues

La questione sicurezza

L’articolo di Repubblica, dopo le premesse, compie un lungo giro intorno al tema della sicurezza di bitcoin. Secondo Boeri e Perotti che bitcoin sia una moneta sicura può essere interpretato in due accezioni: la prima, testualmente, come “poco volatile nel suo valore”. La volatilità è intrinseca nel carattere di bitcoin come investimento: è qualcosa che tutti gli operatori seri del mercato dicono e ripetono allo sfinimento, consigliando a chi vuole approcciarsi alle cripto di dedicare quota del portafoglio tra il 2 e 8% proprio per l’eccessiva rischiosità dell’asset.

Se si guarda alle oscillazioni di prezzo, le criptovalute sono più simili ad asset di investimento come le azioni che a valute. E non sono certamente tra le asset class investibili le uniche ad alta volatilità: la finanza tradizionale offre da sempre strumenti con un profilo rischio/rendimento equiparabile alle criptovalute, come future e derivati: mai definiti un grande bluff.

Repubblica cita anche una seconda accezione di “sicurezza”. Scrivono gli autori che i sostenitori delle crypto le ritengono sicure in quanto “non sono soggette a furti, frodi e smarrimenti”. Che i sostenitori di crypto affermino questa cosa è semplicemente falso: furti, frodi o smarrimenti anche di bitcoin sono avvenuti, certamente. Lo dice Repubblica e non abbiamo difficoltà a confermarlo qui.

Abbiamo vicinissimo a noi nel tempo il fallimento di un exchange come Ftx e nessuno nega che esistano questi rischi – come esistano per le banche, che in passato sono fallite, da Lehman Brothers nel 2008 alle italiane Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti nel 2015 (fatte le dovute proporzioni). Così come furti e frodi entrano nel sistema, ma è tutto da dimostrare che siano “infinitamente di più che nella finanza tradizionale”.

Ancora, confermiamo anche la stima (contenuta nell’articolo) che il 20% di tutti i bitcoin esistenti siano andati persi: questo avviene perché se si perdono le chiavi di accesso al proprio portafoglio, esso diventa inaccessibile per sempre. Il valore attuale di questi bitcoin è di circa 90 miliardi di dollari.

Una cifra enorme, ma che probabilmente fa riferimento agli early adopter di bitcoin, quelli che hanno acquistato a pochi spiccioli, e dunque equivale per loro alla perdita di un biglietto della lotteria, non comporta che uno si debba vendere la casa o non abbia più i risparmi per la vecchiaia. Gli stessi Boeri e Perotti specificano in un inciso cosa si intende per sicurezza quando scrivono che in effetti “la blockchain di bitcoin non è mai stata hackerata”.

Frodi e truffe?

Ne approfittiamo per citare una terza questione affine al tema frodi e truffe. E probabilmente per anticipare una delle prossime critiche in arrivo, nei prossimi articoli della serie annunciata dal quotidiano, ovvero che bitcoin sia il canale ideale per fare illeciti. Il report, punto di riferimento nel settore, parla di 20 miliardi di dollari riferibili a illeciti commessi via bitcoin&co nel 2022 (pari allo 0,24% del valore del mercato). E se non vogliamo affidarci a una società di parte, possiamo leggere il Risk assesment of money laundering report del governo britannico (l’ultimo data al 2020 ) che inquadra i cryptoasset nel rischio medio contro il rischio elevato attribuito all’industria bancaria.

Scrivono ancora gli economisti che “basta una voce sull’arrivo di regole più stringenti per far crollare il mercato”. È un’affermazione che i dati non supportano: alla base del calo del valore di bitcoin nel corso del 2022 ci sono stati eventi drammatici come la caduta di Celsius, lo scandalo di Terra-Luna, il già citato fallimento di Ftx.

prezzi sono stati mossicome sempre, da oscillazioni cicliche, dalla crisi economica (non dimentichiamo che nel 2022 Wall Street ha perso oltre il 30% del suo valore). Le notizie su Micar, il regolamento europeo che per la prima volta cerca di fissare linee guida organiche sul settore, non ha condizionato il mercato così come non hanno avuto quasi alcun effetto gli annunci su norme in arrivo dagli Usa.

Quale funzione sociale?

Ancora. Leggiamo che l’innovazione portata da Bitcoin non ha alcuna funzione sociale positiva: poi però si afferma che in USA “afroamericani e ispanici hanno una minor propensione a investire in azioni” ma investono di più in cripto. Lo farebbero non per questioni razionali ma per un senso di “rivalsa verso un sistema bancario percepito come distante e discriminatorio”. Intanto, solo in USA il 4,5% della popolazione (circa 6 milioni di persone) sono unbanked nel 2021. Nessuna sorpresa, la corrispondenza è quasi simmetrica con le minoranze etniche citate come “vittime dello scandalo crypto”.

…dipende sempre dall’uso che se ne fa…

C’è un ultimo punto che riguarda la fiducia, che è ciò sui cui si basa il sistema monetario tradizionale. Quando la comunità bitcoin dice che bitcoin non ha bisogno della fiducia, intende dire che il sistema funziona – come in effetti avviene – non grazie a un ente terzo che appunto beneficia della fiducia della collettività ed è garante delle transazioni, ma grazie a un complesso algoritmo informatico. La fiducia non serve perché qui domina la matematica. E in un futuro auspicabile un sistema senza errori umani, senza controversie legali, senza necessità di un garante è una cosa così tanto da demonizzare?

In conclusione, non è lo strumento in sé, non è la banca in sé o bitcoin in sé a essere buono o cattivo, ma l’uso che se ne fa. E di fronte a rischi e bug, soprattutto in un sistema giovane come quello che gira intorno alla blockchain, esiste una regola aurea che gli operatori seri seguono e mettono in pratica quotidianamente: l’educazione finanziaria. Che deve essere chiara, trasparente e rivolta a tutti. E di cui in Italia c’è un gran bisogno, da ben prima che nascesse bitcoin.

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